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La scrittura attuale

Come si è detto il metodo attualmente usato per la scrittura del giapponese utilizza tutti e tre gli alfabeti (kanji, hiragana e katakana).

I kanji

I kanji sono comunemente usati per scrivere i sostantivi (che in giapponese sono indeclinabili) e la radice delle forme flessive (aggettivi e verbi). Essi possono essere letti sia foneticamente che semanticamente.

Per quanto riguarda le letture fonetiche (o letture on) bisogna tener presente che esse sono modellate sulla pronuncia che il carattere aveva in Cina attorno al periodo Nara, per di più deformata per adattarla alla fonetica giapponese (notevolmente diversa da quella cinese): si tratta perciò di pronunce che possono differire anche notevolmente dal modo in cui il carattere viene letto nella Cina odierna. Inoltre, poiché l'importazione della cultura cinese in Giappone è avvenuta su un arco di tempo piuttosto lungo e da regioni diverse, spesso ad uno stesso carattere sono associate più letture on che riflettono pronunce cinesi di epoche e zone diverse. Ad esempio il carattere 生 (che significa "vita" o "nascita") ha due letture on: sei e shô (in cinese moderno viene letto sheng).

Anche le letture di tipo semantico (dette letture kun) possono essere molteplici in quanto (come si è detto) una stessa parola cinese può essere usata con funzione di parti del discorso differenti e quindi corrispondere a vocaboli giapponesi differenti; inoltre uno stesso carattere può venire usato per scrivere diversi sinonimi. Quando la parola giapponese corrisponde ad una parte flessiva della frase (aggettivo o verbo) solitamente il kanji viene usato per indicarne la sola parte fissa (radice), mentre le parti variabili o desinenze vengono indicate foneticamente per mezzo di hiragana. Ad esempio il carattere 生 già visto sopra ha le seguenti letture kun:

 

生きる ikiru vivere
生かす ikasu far (ri)vivere, resuscitare
生ける ikeru disporre (fiori)
生まれる umareru nascere
生む umu generare, partorire
生える haeru crescere, spuntare (ad es., erba)
生やす hayasu farsi crescere (ad es., la barba)
nama crudo, fresco
ki puro, liscio, non diluito

(nella pronuncia delle parole è indicata in rosso la parte che si riferisce al kanji: la parte in nero indica la pronuncia degli hiragana della desinenza).

Quindi in generale in giapponese un kanji può possedere una o più letture on e una o più letture kun (i casi di caratteri che hanno una sola lettura sono abbastanza rari): una delle difficoltà nella lettura del giapponese consiste appunto nel capire volta per volta quale tipo di lettura si debba applicare ad ogni carattere.

In generale le letture on vengono utilizzate per scrivere vocaboli di derivazione cinese che molto spesso sono composti da due kanji consecutivi (senza kana interposti). Le parole di origine cinese una volta facevano parte del linguaggio erudito ma molte di esse sono ormai entrate nell'uso comune, costituendo una percentuale notevole delle parole del giapponese scritto del giorno d'oggi; esempi di questo tipo contenenti il carattere 生 sono ad esempio i vocaboli 学生 gakusei [studente], 先生 sensei [maestro], 生活 seikatsu [vita], 生物 seibutsu [essere vivente], 誕生日 tanjôbi [compleanno] (in quest'ultimo esempio la pronuncia è una modificazione eufonica della lettura shô dopo la n).

Invece le letture kun (usate per rappresentare vocaboli giapponesi autoctoni, cioè non derivati dal cinese) vengono applicate ad intere parole (nel caso di termini invariabili) o alla radice di verbi e aggettivi. In tal caso il kanji appare nella frase isolato (preceduto e seguito da kana): l'eventuale suffisso fonetico (scritto in hiragana) permette generalmente di distinguere tra le diverse letture kun possibili. In altri casi la lettura corretta è deducibile dal contesto: ad esempio la frase " 生のウイスキー " verrà interpretata

 

ウイスキー
ki no uis(u)kii

[whisky liscio] mentre la frase " 生の魚 " verrà letta

 

nama no sakana
[pesce crudo].

Queste regole generali di utilizzo sono però soggette a frequenti eccezioni e quindi la lettura di un testo richiede una buona dose di esperienza ed esercizio. Nei primi anni di studio del giapponese la traduzione di un vocabolo sconosciuto richiede generalmente una ricerca in due fasi:

  • una ricerca delle possibili letture dei caratteri che lo compongono in un apposito "dizionario dei caratteri" in cui questi vengono elencati in un ordine che è legato alla loro forma (solitamente in base al numero di tratti di pennello necessari per tracciarlo); spesso questi dizionari riportano anche la lettura dei principali vocaboli in cui il carattere compare;
  • una ricerca del vocabolo completo in un dizionario della lingua (monolingue o bilingue); in questi dizionari le voci sono elencate in ordine alfabetico di pronuncia e quindi, nei casi in cui non si conosca quali letture si applichino al vocabolo in questione, sarà forse necessario cercarlo sotto tutte le possibili combinazioni delle letture dei caratteri costituenti.

Supponiamo ad esempio di dover cercare la parola 後生: trattandosi di un composto di due kanji consecutivi senza hiragana l'ipotesi più probabile è che si tratti di un vocabolo di derivazione cinese e che quindi i caratteri vadano letti secondo la lettura on. Come abbiamo visto il carattere 生 potrebbe quindi essere letto sei o shô, mentre il carattere 後 ha due letture on: go e . Quindi le letture possibili (da cercare sul dizionario) sono gosei, kôsei, goshô, kôshô (con le possibili varianti fonetiche gojô e kôjô). A volte (anche se non frequentemente) capita che la parola abbia più letture con significati differenti; nel nostro caso 後生 può essere letto sia kôsei ["generazioni future, posteri"] che goshô ["seconda vita, vita futura (dopo la morte)"]: anche in casi simili è il contesto a suggerire quale siano la lettura e la traduzione appropriate.
La lettura dei kanji è particolarmente difficile quando essi compaiono nella scrittura dei nomi propri (nomi di persona o toponimi); infatti in tal caso oltre alle letture usate per la scrittura di nomi comuni essi possono avere anche letture aggiuntive (usate solo per i nomi propri) chiamate nanori, mentre ovviamente viene a mancare completamente l'aiuto costituito dal contesto e dal significato. In molti casi l'unico modo per essere sicuri della lettura di un nome proprio è quindi quello di ... chiedere ai diretti interessati (membri della famiglia nel caso di un cognome o abitanti del luogo per un toponimo).
I kanji comunemente utilizzati sono parecchie migliaia. A partire dal XX secolo si registra una tendenza alla semplificazione della lingua scritta e alla riduzione del numero dei kanji: nel 1946 il Ministero dell'Educazione ha emanato una lista di 1859 tôyô kanji [kanji di uso quotidiano], suggerendone l'adozione nella scrittura delle parole al posto di kanji omofoni meno comuni; nel 1981 questa lista è stata sostituita da un elenco di 1945 jôyô kanji [kanji di uso frequente]. Queste liste costituiscono la base dell'insegnamento scolastico e spesso i testi scritti per un pubblico generico (come gli articoli dei quotidiani) si limitano ad essi; al contrario i testi universitari o di utilizzo più specialistico usualmente fanno ricorso ad un insieme di caratteri molto più esteso.

Gli hiragana

Come si è detto gli hiragana costituiscono uno dei due alfabeti fonetici utilizzati nella lingua giapponese moderna. In conseguenza della loro origine dai caratteri cinesi, essi non rappresentano il suono di lettere isolate ma di intere sillabe: ad esempio non esiste un simbolo specifico per indicare il suono k, ma esistono caratteri distinti per le sillabe ka, ki, ku, ke, ko.

Nonostante ciò il numero totale di caratteri necessario è relativamente limitato perché la fonetica della lingua giapponese è piuttosto semplice: le sillabe possibili sono formate da una vocale singola oppure da una sequenza di una consonante + una vocale; in altre parole in giapponese non esistono i numerosi incontri di consonanti che compaiono nella lingua italiana (pr, tr, spr, str, pl, spl, lp, ecc.). In definitiva le sillabe necessarie alla scrittura del giapponese sono le 5 vocali + i gruppi formati dalle 9 consonanti k, s, t, n, h, m, y, r, w seguite da ciascuna delle 5 vocali:

 

a i u e o
ka ki ku ke ko
sa si (shi) su se so
ta ti (chi) tu (tsu) te to
na ni nu ne no
ha hi hu (fu) he ho
ma mi mu me mo
ya     yu     yo
ra ri ru re ro
wa wi     we wo

tenendo conto che le sillabe yi, ye e wu non esistono e aggiungendo la n sillabica ん sono quindi in tutto 48 caratteri. A queste vanno aggiunte le sillabe che contengono le consonanti sonorizzate (g, z, d e b) che sono però ottenute aggiungendo il segno ゛ (nigori) ai gruppi contenenti le corrispondenti consonanti sorde (k, s, t e h) e che quindi non necessitano di un simbolo specifico:

 

ga gi gu ge go
za zi (ji) zu ze zo
da di (ji) du (zu) de do
ba bi bu be bo

Analogamente le sillabe che iniziano con la consonante p sono scritte aggiungendo il segno ゜ (handakuten) alle corrispondenti sillabe con h:

 

pa pi pu pe po

Le consonanti doppie sono indicate facendole precedere da un carattere tsu (solitamente scritto in corpo più piccolo: っ); ad esempio: あった atta, ばっかり bakkari, ecc.

Nell'uso attuale del giapponese gli hiragana sono utilizzati:

  • come okurigana, cioè per scrivere le desinenze delle parti flessive (aggettivi e verbi); ad esempio:

     

    取る toru (io) prendo, (tu) prendi, ecc. (tempo presente, forma semplice)
    取ります torimasu (io) prendo, (tu) prendi, ecc. (tempo presente, forma cortese)
    取らない toranai (io) non prendo, (tu) non prendi, ecc. (tempo presente negativo)
    取れ tore prendi!, prendete! (imperativo)
    取った totta (io) presi, (tu) prendesti, ecc. (tempo passato, forma semplice)
    取って totte prendendo (gerundio)
    ecc.

  • per scrivere particelle, avverbi e in generale parole che non hanno kanji corrispondenti;
  • per scrivere parole i cui kanji sono di uso antiquato o inconsueto.

Riguardo all'ultimo punto bisogna notare che nella scrittura del giapponese è sempre possibile sostituire un kanji con la loro trascrizione fonetica in hiragana. Certamente un testo in cui anche i kanji di uso più comune sono sostituiti da hiragana farebbe un effetto piuttosto strano, a meno che non si tratti di uno scritto rivolto agli alunni dei primi anni delle scuole elementari; all'altro opposto, l'uso frequente di caratteri rari e ormai desueti darebbe al testo un'aria di affettazione e ostentata erudizione. Tuttavia tra questi due estremi esiste un ampio spettro di possibilità la cui scelta è legata al grado di istruzione di chi scrive, alla considerazione del genere di lettori a cui è rivolto lo scritto e a preferenze stilistiche.

Non bisogna comunque pensare che l'utilizzo di pochi kanji renda in assoluto un testo facilmente comprensibile. Infatti, poiché il giapponese viene scritto senza spazi tra le parole, i kanji svolgono anche la funzione di rendere chiaramente identificabili alcuni punti di riferimento (nomi, aggettivi, verbi) nella frase, distinguendoli da particelle, suffissi e avverbi interposti.
In altre parole un testo giapponese scritto interamente in hiragana assomiglierebbe ad un testo italiano scritto senza spaziature e sarebbe quindi leggibile con difficoltà.
Inoltre la lingua giapponese è ricca di omofoni (soprattutto tra le parole di origine cinese) che in un testo possono essere facilmente distinti in base ai kanji con cui sono scritti, ma che risulterebbero indistinguibili se trascritti foneticamente (nella lingua parlata questo problema è di minore importanza perché, come in tutte le lingue, essa utilizza un vocabolario molto più ristretto della lingua scritta). Ad esempio la pronuncia kaisô può corrispondere ai seguenti vocaboli:

 

回送 ritrasmissione, inoltro
回想 ricordo, reminescenza
回漕 trasporto marittimo
改装 modernizzazione, rifacimento, rinnovo
改葬 risepoltura
海藻 alga marina
海草 vegetazione marina
潰走 sconfitta, disfatta
会葬 partecipazione a un funerale
階層 classe sociale, ceto, casta
快走 movimento veloce

(e non si creda che questo sia un caso limite: si potrebbero citare decine di esempi simili).

Gli omofoni sono particolarmente abbondanti nei vocaboli di origine cinese ma non mancano neppure tra le parole autoctone giapponesi. Anzi, fin dagli albori della letteratura essi sono stati abilmente utilizzati per arricchire i testi di significati aggiuntivi rispetto al senso letterale (in poesia questa tecnica è chiamata kakekotoba). Per un esempio di questo tipo all'interno della musica vocale vedi quanto detto a proposito del brano Usu no koe.
Gli hiragana sono anche usati come furigana (caratteri scritti in piccolo di fianco a kanji poco comuni o antiquati, per indicarne la pronuncia corretta).

I katakana

I caratteri katakana costituiscono un alfabeto fonetico del tutto sovrapponibile all'alfabeto hiragana: come quelli comprendono 48 caratteri che rappresentano le stesse sillabe di base; come nel caso degli hiragana, le sillabe sonorizzate si ottengono aggiungendo un segno di nigori ( ゛) alle corrispondenti sillabe sorde e le sillabe contenenti la consonante p sono scritte aggiungendo uno handakuten ( ゜) alle sillabe che contengono la h. Quindi anche i katakana possono essere presentati attraverso una tabella a 5 colonne del tutto analoga a quella degli hiragana:

 

a i u e o
ka ki ku ke ko
sa si (shi) su se so
ta ti (chi) tu (tsu) te to
na ni nu ne no
ha hi hu (fu) he ho
ma mi mu me mo
ya     yu     yo
ra ri ru re ro
wa wi     we wo
 
ga gi gu ge go
za zi (ji) zu ze zo
da di (ji) du (zu) de do
ba bi bu be bo
 
pa pi pu pe po

(il segno della n sillabica è ン).

Nell'uso attuale i katakana vengono utilizzati:

  • per scrivere le parole di origine straniera (escludendo naturalmente quelle derivate dal cinese che, come abbiamo detto, vengono scritte in kanji);
  • per rappresentare suoni, esclamazioni, termini onomatopeici o comunque quando si voglia dare risalto all'aspetto sonoro o fonico della parola (ad esempio sono molto usati nei fumetti per scrivere gli equivalenti dei bang, splash, ecc. dei fumetti occidentali);
  • per dare risalto ad una parola (questo uso è paragonabile a quello dell'italico nei testi occidentali).

Per quanto riguarda le parole straniere bisogna notare che il giapponese ha assorbito un gran numero di parole occidentali (soprattutto americane) che vengono usate sia come sostantivi, sia come aggettivi (aggiungendo il suffisso di aggettivo な na) e verbi (aggiungendo il verbo する suru, che letteralmente significa "fare"). La frequenza d'uso di questi vocaboli di importazione varia notevolmente a seconda del genere letterario e dello stile (sono molto più frequenti nel linguaggio giovanile e negli scritti meno formali come articoli di giornale ecc.), ma non sembra che essi siano in alcun modo considerati grammaticalmente scorretti (com'è invece il caso di termini ibridi ottenuti italianizzando vocaboli stranieri come testare, scannerizzare o peggio scannare, sortare, masterizzare, ecc.).
Come regola generale i vocaboli stranieri sono scritti cercando per quanto possibile di riprodurre la pronuncia piuttosto che la grafia della lingua originale: così si scrive アイロン airon per iron, イエロー ieroo per yellow (il segno ー indica un allungamento della vocale precedente), エア ea per air, ecc. Ciò ha portato alla necessità di introdurre nuovi segni per poter riprodurre suoni che sono sconosciuti alla fonetica del giapponese (ad esempio ファ per fa, ディ per di) o alla convenzione di non pronunciare in alcuni casi le vocali per poter riprodurre incontri di consonanti o finali di parola in consonante che non esistono nei termini autoctoni. Inoltre la lettera L, che non esiste in giapponese, viene resa con R. Per questi motivi a volte risulta abbastanza difficile riuscire a identificare la parola d'origine dalla sua trascrizione in katakana, anche se generalmente essa viene pronunciata in modo abbastanza corretto; ad esempio:

 

アドレス adoresu (address)
アナウンサー anaunsâ (announcer)
インストール insutôru (install)
エイズ eizu (AIDS)
カー (car)
カーテン kâten (curtain)
カウンセラー kaunserâ (counselor)
カラー karâ (color)
カルチャー karuchâ (culture)
エキスパート ekisupâto (expert)
ecc.

Questo discorso è particolarmente evidente per l'inglese (essendo una lingua in cui notoriamente la corrispondenza tra scritto e pronuncia è piuttosto problematica) ma vale per tutte le lingue straniere:

 

リート rîto (Lied, tedesco)
フロイト furoito (Freud, tedesco)
アインシュタイン ainshutain (Einstein, tedesco)
マント manto (manteau, francese)

 

Autore: Mario Carpino